annuncio

Comprimi
Ancora nessun annuncio.

Cernobyl può fare altre vittime

Comprimi
X
 
  • Filtro
  • Ora
  • Visualizza
Elimina tutto
nuovi messaggi

  • Cernobyl può fare altre vittime

    L'allarme da uno studio inglese: aumenta il numero dei malati di cancro
    causato dalle radiazioni del disastro nucleare di 20 anni fa

    66mila in più della stima Onu


    "Difficile fare previsioni, ma i danni della catastrofe sono stati sottovalutati"


    La centrale nucleare di Cernobyl

    LONDRA - A venti anni di distanza dal disastro nucleare, Cernobyl fa ancora paura. Tanta. Soprattutto perché potrebbe provocare la morte di altre 66mila persone. Tutti soggetti malati di cancro causato dalle radiazioni emesse dopo il terribile incidente. A lanciare l'allarme è uno studio britannico commissionato dai Verdi del Parlamento europeo.

    Secondo gli autori della ricerca, Ian Fairlie e David Sumner, il 26 aprile del 1986 la catastrofe di Cernobyl ebbe ricadute su un totale di 3,9 milioni di km quadrati in tutta Europa. In Gran Bretagna, in particolare, oltre un terzo del territorio è stato contaminato dalle ricadute delle radiazioni: ne sono rimasti coinvolte 374 aziende agricole e oltre 200mila capi ovini.

    E' lo stesso David Sunmer a fare un'analisi sulle conseguenze, forse sottovalutate, di Cernobyl, che "si estendono in realtà su tutto l'emisfero nord e sul mondo intero". Tuttavia "l'estensione completa dei danni, le malattie indotti dall'esposione alle radiazioni non saranno forse mai conosciuti", prosegue. "E' difficile determinare il numero esatto dei tumori legati a Cernobyl: gli effetti delle radiazioni sono lente a farsi sentire".


    Gli autori provano quindi a fare una stima del numero delle vittime di tumori che il disastro nucleare potrebbe ancora provocare, e il quadro non è certo confortante: sarebbero 66mila in più di quanto previsto dall'Aiea e l'Oms, con un aumento 15 volte superiore alle 4mila possibili vittime stimate dall'Onu.

    Anche per questo motivo lo studio porta il titolo "L'altro rapporto su Cernobyl"; la presentazione ufficiale è prevista per la prossima settimana a Londra in occasione del 20 anniversario della tragedia nucleare.


    repubblica.it (22 aprile 2006)

  • #2
    Neanche 10 giorni dopo la notizia precedente, Newton tranquillizza tutti con un'altra più serena e sostanzialmente simpatica...

    Cernobyl sta diventando un paradiso per gli animali selvatici

    La fascia di foresta interdetta agli abitanti a causa delle radiazioni ancora molto alte, si sta popolando con una fauna che sembra affrontare lunghe migrazioni per raggiungere questo luogo

    A vent'anni dalla catastrofe nucleare di Cernobyl, il più grande incubo degli ecologisti si è trasformato in un sogno per gli animalisti: la vita selvatica è tornata prepotente nell'ampia fascia di trenta chilometri attorno al reattore esploso, vietata agli esseri umani.
    Il livello di radiazioni in alcuni punti è letale, fino a 3.500 microroentgen l'ora, contro una dose tollerabile fra i 15 e i 19: ma non sembra affatto disturbare i cinghiali, le alci, i caprioli, i lupi, le volpi, le lepri, financo le linci e forse qualche orso - se ne sono viste delle impronte - migrati lì da regioni anche lontane, per godersi la pace di una zona dove gli esseri umani sono solo un ricordo.

    ''Non hanno alcuna paura di noi - raccontano Aleksandr Kotz e Dmitri Steshen, due coraggiosi che hanno deciso di avventurarsi nella foresta contaminata - casomai è vero il contrario". Un cinghiale riposa tranquillo su una collinetta, in realtà uno dei circa 800 tumuli eretti su altrettante fattorie colpite in pieno dalla nube radioattiva, e "bonificate" con palate di terra: ma che ancora fanno impazzire l'ago dei contatori Geiger.
    All'avvicinarsi dei due uomini, si alza minaccioso: non recede di un passo, quegli strani esseri a due gambe non gli sembrano forti abbastanza per rappresentare un pericolo. E in effetti i due uomini fanno prudentemente marcia indietro.

    ''Chi vive vicino alla zona interdetta - dicono Kotz e Steshen - ci ha raccontato che alci e altri animali arrivavano qui fin dalla Bielorussia: sembrava quasi una migrazione consapevole''.
    La strada fra la centrale e Pripiat, la città-dormitorio evacuata in tutta fretta dai suoi 50.000 abitanti subito dopo il disastro e ora sporadicamente pattugliata da non più di cinque poliziotti - non c'è nulla da rubare, tutto è troppo radioattivo anche per il più coraggioso dei ladri - viene continuamente attraversata da animali selvaggi. Ci sono persino due mandrie di cavalli: devono essere i discendenti della coppia di Przewalski che nel 1992 gli scienziati liberarono nella zona per esaminare gli effetti delle radiazioni.
    Kotz e Steshen ne contano una sessantina, prima che uno stallone, seccato dalle attenzioni rivolte alle sue giumente, non li cacci in malo modo.
    Bracconieri a volte arrivano nella zona interdetta: ma cercano soltanto gli animali giovanissimi, gli adulti hanno carni e pelli troppo radioattive per essere appetibili. Se riesce a superare i tre anni di età, qualunque alce è al sicuro dai fucili dell'uomo, qualunque cinghiale può circolare indisturbato. O quasi: con le prede sono tornati i predatori classici.
    La notte è punteggiata dagli ululati dei lupi, le numerosissime cove degli uccelli - ci sono anche delle aquile - sono insidiate dalle volpi, le micidiali linci colpiscono veloci e inesorabili.

    "Subito dopo l'esplosione del reattore - ricorda Serghei Gashkak, radiobiologo che da anni studia quella riserva naturale spontanea - anche gli animali subirono duramente le conseguenze della radioattività. Il bosco ha preso il nome di 'foresta rossa' perché quattro ettari di foresta si disseccarono sul colpo; nelle aree più contaminate trovammo i cadaveri di molte bestie, in molte specie la riproduzione venne bloccata, in un'isola a sei chilometri dalla centrale i cavalli morirono quasi tutti e altri animali ebbero gravi problemi alla tiroide. Ma già la generazione successiva sembrava sana".

    Ci sarà pure il plutonio nell'area intorno a Cernobyl, ma non ci sono pesticidi, non ci sono fumi industriali, non c'è traffico, non si bonificano più le paludi: non ci sono uomini. ''Abbiamo eseguito alcuni esperimenti - spiega Gashkak - e abbiamo scoperto che la fauna più stanziale e quella che si sposta molto hanno diversi gradi di radioattività, più elevata nei primi: ma che non sembra infastidire gli uni e gli altri.
    La cosa più curiosa però è che mentre i topi locali vivono benissimo, e altrettanto a lungo di quelli di zone non contaminate, se ne portiamo di 'stranieri' soffrono subito. La differenza con i locali è molto evidente''. Gashkak afferma di aver registrato moltissime mutazioni nel dna, ma che non sembrano avere conseguenze sulla fisiologia o sulla capacità di riprodursi: niente linci a due teste, insomma.

    Meno convinti sono altri ricercatori: sottolineano che i mutanti muoiono presto e vengono divorati prima che gli scienziati possano osservarli, e che gli studi vengono condotti sui grandi insiemi più che sui singoli individui. Ma ammettono che i problemi derivati dalla catastrofe sembrano largamente compensati dall'assenza umana: ''Forse dovremmo buttare scorie radioattive anche in Amazzonia, per scoraggiare gli sfruttatori senza scrupoli", scherza qualcuno.


    newton.it (01 maggio 2006)

    Commenta

    Sto operando...
    X