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Polar Express: dettagli sugli effetti speciali e la grafica

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  • Polar Express: dettagli sugli effetti speciali e la grafica

    direttamente dal pressbook... dettagli interessanti

    Il processo

    Alcuni elementi della produzione di “Polar Express” hanno un approccio simile a quello dei film dal vivo: Zemeckis e Broyles hanno lavorato alla sceneggiatura, sono stati preparati storyboard, set, materiale di scena e costumi. Come spiega Starkey, “anche se stavamo per affrontare un modo nuovo per cogliere e presentare le immagini, abbiamo dovuto creare alcuni fondamentali dettagli fisici, come la stoffa dei costumi e le acconciature dei personaggi”.
    La produzione è iniziata mesi prima della prima sessione di Performance Capture, quando i realizzatori hanno messo insieme un team di creativi, alcuni dei quali avevano già lavorato in passato con Zemeckis, come la costumista Joanna Johnston, che aveva creato l’abito da sirena di Jessica Rabbit, e lo scenografo Rick Carter, candidato all’Oscar per “Forrest Gump”.
    La differenza era che gli elementi pratici, dopo esser stati scannerizzati, venivano tolti. I realizzatori avevano set virtuali, costumi virtuali e un vasto catalogo di materiale di scena virtuale e mobile. Ogni cosa veniva scrupolosamente ripresa da ogni possibile angolo e profondità, preparando teatri tridimensionali per l’entrata degli attori.
    Altri set e locations, come le fantastiche montagne e foreste attraverso le quali sfreccia il Polar Express nel suo viaggio notturno e le strade affollate del villaggio di Babbo Natale in cima al mondo, non sono mai esistiti nel mondo reale. Vengono direttamente dalla fantasia e dal computer.
    Per portare sullo schermo la magia di “Polar Express”, i realizzatori hanno iniziato esattamente come inizia il libro di Van Allsburg: nella stanza da letto del bambino la vigilia di Natale, quando lui sente il treno fermarsi davanti a casa sua.
    “Ma siamo andati più a fondo nell’ambiente”, fa notare Starkey. “Nella prima illustrazione del libro c’è un letto, una finestra e parte di una parete. Ma com’è il resto della stanza? C’è una scala? Come appare il resto della casa e il quartiere? Come appare la città quando il treno si allontana?”.
    Usando il libro come punto di riferimento, i realizzatori ne hanno allargato i confini.
    Lo scenografo Rick Carter aveva studiato le illustrazioni, come dice Zemeckis “alla ricerca di Van Allsburg stesso” e insieme allo scenografo Dough Chiang, il conceptual designer di “Guerre stellari episodio uno e due”, ha visitato la casa in cui l’autore era cresciuto, a Grand Rapids, Michigan, e vi si è ispirato per gli interni e gli esterni della casa del protagonista e per la strada in cui si ferma il treno. Poi ha visto il vecchio quartiere di Zemeckis, nel South Side di Chicago.
    “Dopo essersi fermato davanti alla casa del primo ragazzo, che è stata fatta sul modello di quella in cui è cresciuto Chris, il treno si ferma davanti a un’altra casa e fa salire un altro ragazzo”, spiega Carter. “E’ una casa che assomiglia molto a quella a due porte di distanza dalla casa in cui viveva Bob da bambino”. In un certo senso, riflette Carter, potrebbe essere “il punto in cui Bob è salito sul treno”.
    Chiang, che guida un team di artisti di digital matte e CG dagli uffici in Northern California, ha lavorato insieme a Carter per creare gli ambienti virtuali. Come spiega Zemeckis, “Rick non aveva mai lavorato in questo modo. Disegnava in modo tradizionale su carta o faceva plastici che poi venivano costruiti. Con “Polar”, siamo sempre partiti con disegni e plastici, che però non sono stati costruiti, ma realizzati al computer”.
    Un vantaggio di questo processo è l’efficienza. “In genere in preproduzione”, dice Chiang, “si preparano disegni bidimensionali e poi li sviluppiamo in plastici in miniatura. Invece così fin dai primi momenti possiamo far vedere a Bob come apparirà il prodotto finale”. E poi si possono eseguire velocemente le modifiche richieste dal regista nel corso del processo.
    Un altro vantaggio è la mancanza di limiti, secondo Chiang, che si è trovato a lavorare a una ricostruzione al computer del passaggio del treno attraverso una imponente catena montuosa. Citando Van Allsburg, Chiang dice: “Il testo parla di ‘montagne così alte che sembrano farci sfiorare la luna’. E’ chiaramente la prospettiva di un bambino. Visivamente, tutto il viaggio potrebbe essere un suo sogno, quindi perché non disegnare quel mondo come farebbe un bambino? Mi è piaciuto veramente iniziare con un paesaggio glaciale che non esiste nella realtà”.
    Tornando a Imageworks, Ralston e Chen hanno continuato nella stessa linea con i disegni CGI. “In un film come questo”, dice Ralston, “ogni inquadratura è un dipinto e questo è stato il nostro approccio. Jerome ed io prendevamo le idee di Dough e le inserivamo nel mondo della CG, dove costruivamo i set in 3D”. Lui era preoccupato soprattutto “che la luce di ogni scena creasse un’atmosfera, che gli effetti delle scintille delle ruote del treno o i fiocchi di neve apparissero lirici, magici”.
    Chen aggiunge: “Abbiamo lavorato molto per conservare la stilizzazione del libro. Le illustrazioni sono impressionistiche, con contrasti di luce, fonti di luce molto forti e ombre. Nello stesso tempo volevamo che fosse un mondo credibile, come se nella strada, dalla casa del bambino e dietro l’angolo ci fossero altre case, un’intera città”.
    “Polar Express” ha non solo ampliato le locations delle illustrazioni di Van Allsburg per il film, ma anche la storia, inserendo nuove avventure del protagonista e dei suoi compagni di viaggio, una progressione naturale e perfettamente compatibile con la visione originale dell’autore.
    “Il libro è stato fonte di ispirazione per tutto”, conferma Zemeckis. “L’ho usato come schema. L’intenzione era ampliarlo, non reinventarlo”. Ad esempio, usando i disegni fatti da Van Allsburg degli altri bambini saliti sul treno, ha scelto tre volti e immaginato una storia per ciascuno di loro, presentando i personaggi di Girl, Lonely Boy e Know-It-All-Boy. Nel corso del viaggio, questi bambini interagiscono con il protagonista di Van Allsburg, Unnamed Boy.
    Mentre venivano completati i disegni, Zemeckis lavorava con gli attori per la motion capture.
    Regolati su dimensioni precise che permettessero la copertura digitale a 360 gradi, i set vuoti e minimalisti hanno ricordato al produttore Starkey il Black Box Theater, popolare negli anni ’60 e ’70, in cui il materiale di scena e gli elementi fisici del set erano scarsi o inesistenti. Nei teatri 2, 3 e 4 dei Culvert Studios una cornice vuota poteva rappresentare una finestra, mentre dei legni grezzi indicavano porte o mobili, in quanto fornivano punti di riferimento agli attori che avrebbero visto il set completo al computer.
    A questo punto “libero dalla tirannia degli aspetti tecnici della realizzazione”, dice Zemeckis, si è occupato della dinamica attore-regista con il cast per ogni scena.
    Gli attori indossavano tute simili a quelle dei sommozzatori, sulle quali venivano applicati circa 60 ‘gioiellini’ o indicatori di materiale che rifletteva la luce, che permettevano alle macchine da presa digitali di registrare i movimenti del corpo come una configurazione di punti tridimensionali. Questo si traduceva in azione naturale e fluida nel mondo virtuale.
    Poiché la Performance Capture permette di ottenere con chiarezza e in modo dettagliato le emozioni e le espressioni umane, è stata posta particolare attenzione ai volti degli attori, che sono stati cosparsi di circa 150 indicatori riflettenti, soprattutto sulla muscolatura, sulle palpebre, sulle sopracciglia, sulle labbra, sul mento e sulle guance. L’applicazione richiedeva quasi due ore di lavoro.
    Una volta pronti, gli attori recitavano senza le distrazioni di un set affollato. In un certo senso era recitazione allo stato puro, il personaggio, lo spazio e le parole.
    Colta a tre dimensioni, la loro performance veniva poi integrata nei set virtuali e da allora in poi viveva nel computer.

  • #2
    E qui, dalla prospettiva del regista, inizia il divertimento.
    Nel computer veniva inserita quella che si può chiamare una macchina da presa virtuale, un punto di vista mobile che può essere maneggiato come un obiettivo. “Così”, dice Zemeckis, “con una facilità che sembra smentire la complessità del concetto, “hai un set virtuale e vi inserisci le performances degli attori. Poi si prende una macchina da presa virtuale e si inserisce anche quella, che registrerà tutte le immagini virtuali proprio come una macchina normale.
    “Il che significa”, chiarisce, “che devo avere due monitor. Devo vedere ciò che vede la macchina e nello stesso tempo ho un altro monitor in una posizione di controllo sul set. Ed io posso vedere la mia piccola macchina da presa virtuale muoversi fra gli attori”.
    Sapendo come è abituato a lavorare Zemeckis, Ralston ha progettato un dispositivo che ha chiamato ‘wheels’, che da la sensazione delle panoramiche di una testata a manovelle e che ha permesso a Zemeckis e ai direttori della fotografia Don Burgess e Robert Presley di manovrare la macchina da presa virtuale con facilità e precisione, come fosse un carrello o una gru, invece di usare una tastiera per impartire i comandi. Zemeckis è consapevole dell’enorme versatilità e delle infinite opzioni che offre il sistema. “Posso girare una ripresa a due e due primi piani, o far andare il primo piano di un attore per l’intera scena come farei dal vivo. Poi posso fare il controcampo su un secondo attore o un’altra ripresa a due. Poi passo questi giornalieri al montatore e li montiamo come in un film normale”.
    La differenza fondamentale è che, diversamente dai film normali, dove alla fine della giornata il regista ha solo ciò che ha girato per i giornalieri, con la Performance Capture è libero di cambiare idea in ogni momento, tornare al materiale originale e rivedere completamente il suo punto di vista. Ogni ripresa, da ogni profondità e angolazione, continua a esistere su ogni set virtuale.
    Inoltre, a differenza dell’animazione convenzionale, sostiene Zemeckis, “il montaggio è fatto cinematograficamente, non da un artista del layout”.
    In questo modo è stato in grado di creare ogni ripresa di “The Polar Express”.
    “Si può dire che ho diretto il film a due livelli, una volta dal vivo sul set, poi al computer”.
    A questo punto il materiale non è completamente rifinito.
    Il primo stadio è rappresentato non dalle immagini degli attori come appariranno alla fine, ma in una forma elementare che la troupe ha chiamato ‘l’uomo Michelin’, in quanto simile al pupazzo della pubblicità. Considerando il lavoro necessario per assemblare e rifinire ogni scena, aveva senso aspettare che Zemeckis selezionasse ogni ripresa prima di passare alla ottimizzazione in CGI.
    Inoltre, il regista e il suo team potevano anche usare un playback video di ogni performance.
    In seguito un team di artisti del computer avrebbero aggiunto struttura, luce e definizione allo sfondo, come spiega Zemeckis, “dopo aver saputo cosa avrebbe inquadrato la macchina da presa. Non sapevano quale sfondo doveva essere illuminato. Impostavamo ogni scena con il metraggio dell’uomo Michelin”.
    Oltre alla luce e alle ombre, gli animatori degli effetti al computer dovevano creare dettagli delicati come la luce della luna che filtra tra la nebbia o le volute di fumo che si alzano dal treno. La loro arte ha permesso che la stoffa di una manica o una ciocca di capelli del bambino apparissero realistiche e naturali.
    “Ma le espressioni sono tutte degli attori”, chiarisce Zemeckis. “Nessuna animazione. Il computer non crea le performance, sono gli attori a farlo”.
    Anche se è facile raccontarne la progressione, la produzione di “Polar Express” non è stata proprio lineare. Erano necessari vari processi creativi simultanei: scrittura, progettazione, storyboard e montaggio, il tutto mentre squadre di artisti CGI e tecnici lavoravano alla scannerizzazione, alla registrazione e alla versione definitiva.
    “Il processo di produzione era sempre in attività, come quello di preproduzione”, ricorda Ralston. “Si potevano cambiare e manipolare le cose, era un modo nuovo di lavorare per Bob ed è stato coinvolto in ogni momento del lavoro”.
    “E’ molto diverso da un film tradizionale, dove i set alla fine sono smontati e i costumi messi via”, dice Hank. “I nostri sogni erano sempre al lavoro”.



    Una creatività senza limiti

    Considerando la libertà creativa che Performance Capture gli ha concesso in “Polar Express”, Robert Zemeckis cerca di vedere il processo in prospettiva. “La buona notizia è che tutto diventa possibile, la cattiva è che tutto è possibile”, scherza.
    Ma, scherzi a parte, l’affermazione è vera.
    “Migliora il livello del tuo lavoro come regista”, spiega Zemeckis, “in quanto ti permette di fare tutto. L’unico limite è l’immaginazione del realizzatore, perché puoi letteralmente creare qualsiasi immagine. Posso girare una ripresa spettacolare con un ragazzino in cima a un treno rombante di notte nella neve e non devo preoccuparmi di come fare. Non devo preoccuparmi che il ragazzino cada dal treno, o della macchina da presa che si gela o se il treno si fermerà nel punto giusto. Ora ho un controllo completo su questi elementi”.
    Con tante opzioni, il problema è la selezione, che può facilmente diventare complessa. Usando “Polar” come esempio, Zemeckis dice: “Ho una scena di tre minuti. Gli attori l’hanno girata ed è perfetta? Poi deve essere integrata nel set. Ora la decisione riguarda, come giro questo? Posso farlo in mille modi e non cambierà niente, a parte la mia interpretazione cinematografica del materiale. Devi possedere molta disciplina per questo. “E poi non ci sono scuse se una scena non è perfetta”.
    Dal punto di vista di un attore, Zemeckis crede che lavorare con la motion capture a questo livello di sofisticazione sia ugualmente liberatorio. “Possono recitare senza doversi preoccupare ogni momento se sono nel posto giusto o nella luce giusta, o di camminare a una certa velocità. Possono focalizzare la loro energia girando una scena in continuità, senza interrompere il ritmo della recitazione”.
    “Credo che l’unica cosa che sia mancata a Tom sia stato un costume”, continua il regista. “Doveva ricordare che il macchinista indossa degli occhiali, toccarsi la visiera del berretto o aggiustarsi il colletto, cose che avrebbe fatto istintivamente se avesse indossato un costume”.
    Con alle spalle trent’anni di carriera, Zemeckis accoglie positivamente questo nuovo modo di fare cinema. “Credo che vedremo presto una nuova generazione di realizzatori utilizzare questo processo”, afferma. “Ora si può fare senza obiettivi, senza pellicola. Non c’è bisogno di muovere le luci per creare un’immagine, perché è possibile farlo con il computer. Il modo tradizionale di registrare le immagini dei film è superato.
    “Cambia il modo in cui i film sono pensati e girati”, conclude. “Sarà un linguaggio influenzato dai videogame e da internet, un modo nuovo di usare le immagini per comunicare”.

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    • #3
      Gli attori

      Un elemento però rimane presente, malgrado le innovazioni tecnologiche, la performance dell’attore.
      Un processo come la Performance Capture, che si basa sulla finezza delle espressioni o su uno sguardo, richiede attori bravi e profondi.
      Durante le riunioni iniziali, Tom Hanks pensava di interpretare uno o due personaggi adulti, ma quando i realizzatori si sono resi conto delle possibilità offerte da Performance Capture, Zemeckis gli ha proposto di interpretare il ruolo del ragazzino protagonista. “Visto che avevamo un sistema così straordinario, ho pensato perché avere un ragazzino di 8 anni per interpretare un personaggio di 8 anni quando posso avere un attore del calibro di Tom, con anni di esperienza?”, spiega il regista. “Lui ha detto ‘Sembra grande, posso farlo?’ E ovviamente abbiamo fatto un test”.
      E’ stato necessario modificare le dimensioni dei materiali di scena e del set: per adulti che interpretano bambini, tutto viene progettato al 160% delle dimensioni normali, così quando la performance dell’adulto viene catturata e integrata nei set virtuali tutto funziona. Durante la recitazione dal vivo, vengono preparati oggetti di scena con dimensioni che rispettano la stessa scala, come punti di riferimento per l’attore.
      Ma è stato Hanks che ha fornito una gamma di emozioni credibili al personaggio, che nessun artista CGI avrebbe potuto ottenere.
      Analizzando il test, Hanks ha pensato che la sua gestualità non fosse adatta a un bambino e quindi ha operato dei cambiamenti “Si è mosso in modo più infantile”, spiega Starkey, “senza esagerare, ma con gesti naturali in un bambino di 8 anni. La sua professionalità gli ha permesso di entrare subito nel personaggio, con i tempi e le posizioni giuste”.
      Alla fine, Hanks ha interpretato cinque ruoli chiave del film: il protagonista, il padre del protagonista, il macchinista, il misterioso hobo e Babbo Natale, i personaggi adulti con cui il bambino interagisce e che esprimono il significato della storia”.
      Come aveva notato in precedenza Zemeckis, può essere disorientante girare una scena con una tuta mo-cap, senza costume e senza l’atmosfera fornita da un set arredato. L’attore deve ricordarsi dov’è la finestra, se il personaggio è scalzo o si aggiusta un bottone della giacca che non c’è fisicamente in quel momento o, quando Hanks interpreta il giovane protagonista, quanto si presume sia alto. Moltiplicate questo per cinque per avvicinarvi alla quantità di dettagli che l’attore deve tenere a mente.
      Della “frustrante mancanza di costumi”, Hanks dice: “Avevo il bisogno di cambiare qualcosa, passando da un personaggio all’altro e visto che non potevo togliermi la tuta mo-cap di Lycra, ho cambiato le scarpe. Indossavo scarpe da ginnastica quando interpretavo il bambino e paia diverse di stivali per il macchinista, l’hobo e Babbo Natale. Erano importanti per la mia postura e i miei movimenti e anche per il mio personaggio”.
      Sul personaggio di Babbo Natale, Hanks aveva idee precise sul tono e sul timbro di voce “un insieme della caricatura con cui siamo cresciuti tutti noi e un pizzico di mistero”, spiega. Non fa sempre ‘ho ho ho’ a pieni polmoni, anche se ride. Babbo Natale è consapevole del potere del suo viaggio la vigilia di Natale per consegnare i doni ai bambini del mondo. Lo fa da migliaia di anni”.
      Insieme a Hanks sul set anche lo scomparso Michael Jeter, che ha interpretato i ruoli del motorista Steamer e del fuochista Smokey, due gemelli con caratteristiche fisiche molto diverse, uno piccolo e grassoccio, l’altro alto e magro. I due fratelli, di buon cuore e allegri, presentano il bambino agli altri lavoratori del treno e chiedono il suo aiuto per cambiare una lampadina, che diventa un’impresa veramente interessante e divertente.
      Jeter era pronto per uno dei due ruoli, ma, come ricorda Steve Starkey, “Bob era cosi eccitato che lo ha voluto per tutti e due”.
      Purtroppo l’attore è morto poco dopo aver completato il suo lavoro nel film. “E’ stata una tragedia inaspettata”, dice Zemeckis, che ha sospeso la produzione quando ha ricevuto la notizia sul set. “Polar Express” è stato l’ultimo film di Michael Jeter.
      Per il ruolo della bambina che in treno fa amicizia con il protagonista, i realizzatori hanno scelto Nona Gaye, recentemente candidata agli Image Award per “Matrix Reloaded” e “Matrix Revolutions”. Come riconosce Zemeckis, “Nona è stata assolutamente straordinaria. La sua capacità di capire il personaggio e presentarlo in modo così incantevole era esattamente ciò di cui avevamo bisogno”.
      Come l’hanno immaginata i realizzatori, la ragazzina è una persona forte e capace, una leader nata, ma inconsapevole delle proprie qualità. Durante il viaggio al Polo Nord inizia finalmente a conoscere le sue potenzialità.
      Il candidato a tanti Emmy Peter Scolari interpreta il ruolo di Lonely Boy, un altro ragazzo davanti alla cui casa si ferma il treno. A Lonely Boy mancano l’affetto e l’attenzione degli altri, esita a salire e una volta a bordo rimane sempre in disparte.
      “Peter ha avuto un approccio al personaggio alla Buster Keaton”, dice Zemeckis. “Esprime profonda tristezza, e fa male vedere questo sul viso di un bambino”.
      “Un altro bambino sul treno è Know-It-All-Boy, interpretato da Eddie Deezen. “Ho scritto il personaggio con in mente la voce di Eddie”, rivela Zemeckis, “riesce ad avere quel tono arrogante e irritante, veramente irritante”. Know-It-All-Boy non è un cattivo ragazzo, manca solamente di umiltà.
      Charles Fisher ben conosciuto per il suo lavoro per il cinema e la tv e per aver dato la voce a Roger Rabbit, interpreta l’Elf General, incaricato non solo della produzione dei giocattoli al Polo Nord, ma indica a Babbo Natale i buoni e i cattivi comportamenti attraverso un sistema di monitoraggio globale.
      Oltre a cogliere le performance degli attori, da soli o nelle scene di gruppo, Performance Capture ha permesso ai realizzatori di registrare un’intera sequenza di canto e ballo con tante ballerine nella scena del ‘cioccolato caldo’.
      Sulla strada verso il Polo Nord, i camerieri del treno offrono al bambino e ai suoi nuovi amici tazze di cioccolato fumante e si scatenano in canti e danze fra i sedili, sempre tenendo in equilibrio precario i vassoi. Per girare la scena, è stato chiamato un gruppo di ballerini, la cui performance dal vivo, coreografata dal candidato ai Tony John Carrafa prima di essere catturata a livello digitale e integrata nel set virtuale del vagone del treno. Non è caduta neppure una goccia di cioccolato.

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