(ATTENZIONE!!! Il racconto che segue presenta scene crude di violenza su minori e di sesso su minori, nonche' di rapporti incestuosi!
Siete pregati pertanto, di non proseguire ASSOLUTAMENTE la lettura se non maggiorenni, se particolarmente sensibili, o se ritenete che i temi trattati possano potenzialmente turbare la vostra persona.
Chi intende proseguire la lettura, lo fa in sua piena liberta' e senza alcuna costrizione, essendo un racconto pubblico e non essendo necessaria o obbligatoria la lettura dello stesso ai fini di gioco.
Ritengo di essere libera da ogni responsabilità, e declino lo staff da eventuali lamentele)
La nebbia serpeggiava cupamente tra le immote statue del cimitero, come gelide dita di morte che carezzassero il proprio avere. La statua di un angelo con un ala spezzata, era l’unico spettatore involontario di una flebile conversazione fatta di sussurri. Il muschio che ne ricopriva per meta’ il freddo granito dalla quale era stata ricavata secoli prima, testimoniava lo stato di abbandono di quel cimitero. I vialetti tra una tomba e l’altra erano pieni di erbacce e di foglie portate dal vento, sicche’ per muoversi senza inciampare bisognava zigzagare tra le lapidi. Il sole stava tramontando, e i corti raggi solari si facevano mano a mano piu’ rossastri, illuminando tutto di un irreale color sangue, come se i demonietti e i gargoyle posti a silente protezione di quei monumenti, si fossero appena animati, e avessero richiamato a se’ le fiamme della geenna dalla quale provenivano.
Con il capo chino, una piccola figura femminile se ne stava rannicchiata davanti a un tumulo scavato di fresco. L’aria odorava di terra smossa, dentro la quale un verme cercava inutilmente di rifugiarvisi nuovamente per scampare ai becchi impietosi dei corvi che riempivano l’aria con il loro gracchiare stridente.
Anahel osservava in silenzio la tomba di sua madre, gli occhi lucidi per il pianto, i becchini che l’avevano seppellita erano gia’ andati via tutti, nessun officiante, nessuna preghiera, nessuno era venuto a vedere la tumulazione di quella donna.
Nessuno amava sua madre, tranne lei e suo fratello… ah suo fratello, che cosa avrebbe mai fatto se non ci fosse lui.
Ma l’amaro di quella perdita le colmava ogni pensiero.
Era stata una brava madre dal suo punto di vista, certo, non sempre avevano di che sfamarsi, specie quando era piu’ piccola, ma ora che era tornato suo fratello e che aveva cominciato a contribuire in casa tutto sembrava andare meglio.
Anahel chiuse gli occhi, si stentiva cosi’ sola, e cosi’ vecchia, nonostante i suoi quattordici anni, si sentiva come se la sua vita fosse ormai giunta al termine. Che cos’altro avevano da vedere ancora i suoi occhi?
Se non ci fosse stato Mahel, il suo amato fratello, si sarebbe addormentata cosi’, rannicchiata sopra le spoglie di sua madre, raggiungendo il sonno eterno per ricongiungersi a lei, ma il suo amore per il fratello la teneva strettamente legata alla vita terrena, nonostante la sofferenza, quel calore che le nasceva nel ventre quanto lui le era al suo fianco, la vincolava in un modo che non sapeva spiegare.
Erano stati separati per molti anni, Mahel era suo fratello per parte di madre, ma il padre di lui era un vagabondo, un truffatore, un saltimbanco che molti anni prima aveva messo incinta sua madre. Le aveva promesso di sposarla, ma poi, si sa’, i legami non son fatti per gli uomini di mondo. La sua passione per la poesia e per l’arte e la retorica lo portavano spesso con la mente distante, finche’ un giorno, quando Mahel aveva sei anni, decise di andarsene, e scomparve, portandosi dietro il bambino.
Lui non le aveva mai raccontato cosa aveva vissuto in quegli anni, ne lei glielo aveva chiesto, se avesse voluto dirglielo, quando sarebbe stato il momento, l’avrebbe fatto.
Restata da sola, a sua madre non era rimasto altro che prostituirsi per poter mettere qualcosa sotto ai denti, non sapeva fare nessuna altra cosa, e altro non seppe imparare ad Anahel. Lei era nata per un errore di valutazione, la figlia bastarda di una guardia, era rimasta incinta nella speranza di accasarsi, di mettere su famiglia.
Lui le aveva fatto credere ingenuamente che l’amava. Povera donna, come si sbagliava, non era altro che un giocattolo nelle mani di un approfittatore, un modo per non pagare per i suoi servizi di p uttana. Quando rimise incinta, rinnego’ la bambina e di aver mai conosciuto la madre.
Non c’era cibo, non c’era spazio, non c’era nulla di quanto servisse.
Fin da quando era nella culla Anahel vide sua madre dare piacere agli uomini. Vivevano in una stanzetta disadorna di uno dei vecchi palazzi fatiscenti della citta’, nella zona dove anche i piu’ poveri temevano di avventurarsi. Non c’era altro che un pagliericcio sul pavimento, che spesso anche i topi usavano come nido e una sedia, sulla quale i clienti posavano i propri averi mentre si sbattevano sua madre.
Anahel non poteva sottrarsi a quegli eventi. Quando succedeva che sua madre accogliesse un uomo, lei doveva mettersi nell’angolo con la faccia al muro e rimanere ferma e zitta, altrimenti le avrebbe prese. Ma i bambini sono curiosi, cosi’ lei sbirciava quello che accadeva usando un piccolo pezzo di vetro rotto che aveva trovato per strada, forse un pezzo di uno specchio di qualche nobildonna.
A volte qualcuno dei clienti di sua madre protestava dicendo “deve proprio stare qui’ la tua bastarda?” ma sua madre rispondeva sempre “fa’ quel che devi e non ti curar di lei, tanto e’ piccola, non capisce”.
Quando aveva quattro anni successe che uno dei clienti di sua madre chiese di lei, fu la prima volta che si trovo’ a toccare quella cosa flaccida e morbida che gonfia le brache agli uomini. Sapeva di sporco e odorava di urina stantia, non voleva toccarlo, ma era sola, sua madre era uscita, e l’aveva lasciata con quell’uomo. Fu costretta a toccarlo e leccarlo, finche’ l’uomo non emise un grugnito e la schizzo’ con una cosa che aveva un odore terribile e un gusto salato che faceva venire il voltastomaco.
L’uomo lascio’ delle monete sulla sedia e se ne ando’, lasciandola sola, rannicchiata in un angolo.
A quella seguirono altre volte, sempre quell’uomo, sempre la stessa cosa, ogni volta le chiedeva di fare quello che lui chiamava “fare la brava”, e cosi’ lei obbediva in silenzio, senza protestare, chiudendo gli occhi e cercando di respirare con la bocca per non sentire il fetore. Aveva compreso a sue spese che era meglio non far capire che non le piaceva, una volta aveva vomitato e lui l’aveva schiaffeggiata cosi’ forte che per una settimana non aveva piu’ sentito da un orecchio. Sicche’ aveva imparato a fare quello che le veniva chiesto senza mostrare quello che provava.
Attorno ai dieci anni, inizio’ a venire a trovarla anche un altro uomo, la prima volta che lo vide era in compagnia di quello grasso e untuoso che ormai aveva imparato a riconoscere anche solo dal puzzo che emanava. Quest’altro era piu’ scarno, sapeva di pesce, non che ad Anahel importasse, almeno lui non voleva che lei lo toccasse, le piaceva guardarla nuda.
Le chiedeva di spogliarsi e poi con le sue dita callose e fredde, che sapevano di scarti ittici la toccava, dandosi piacere da solo con l’altra mano.
Anahel rimaneva immobile, gli occhi bassi e spenti, fissava le venature del pavimento e le macchie di sporco che lo incrostavano, mentre le mani di lui le violavano le carni e la palpeggiavano, crudamente e senza poesia.
Ma fu quando aveva dodici anni, che per la prima volta aveva capito cosa volessero gli uomini piu’ di ogni altra cosa.
Quel giorno uno dei soliti clienti di sua madre aveva insistito per avere lei, come di consueto sua madre era uscita, con la scusa di qualche commissione, e lei era rimasta sola con quell’uomo.
Pensava che avesse voluto fare quello che gli altri due le chiedevano, ma non era cosi’, l’aveva spogliata ma non aveva voluto toccarla, non le chiese di toccare lui, la fece semplicemente stendere.
Non sapendo cosa lui volesse fare lei rimase immobile, era abituata ad essere null’altro che una bambola nelle mani degli uomini, sicche’ non oppose resistenza quando lui le divarico’ le gambe e le si stese sopra. Armeggio’ con i pantaloni e tiro’ fuori il suo membro, puntandolo contro di lei.
Senza poesia, senza pieta’ e senza delicatezza la penetro’, un colpo secco. Anahel urlo’, di sorpresa, di dolore e di rabbia. Ma uno schiaffo spense subito le sue proteste. Per fortuna all’uomo non ci volle molto per raggiungere quello che desiderava, e come gli altri lascio’ i soldi sulla sedia e se ne ando’ via, lasciandola sola e umiliata.
Quando la madre torno’ la trovo’ ancora li’ stesa a terra, le gambe oscenamente divaricate a mostrare le sue parti intime sporche di sangue rappreso. Il suo sguardo era vuoto e distante, sua madre la prese tra le braccia e la consolo’, dicendole che le prossime volte sarebbe andato meglio, che non avrebbe piu’ sentito dolore dopo un po’, che ci voleva soltanto un po’ di abitudine, e cosi’ fu.
Presto si sparse la voce, e in un paio di giorni aveva avuto almeno due o tre clienti che chiedevano di lei. Ogni volta che uno se ne andava sua madre la cullava dolcemente e le ripeteva che tutto andava bene, che presto avrebbero avuto molti soldi, che sarebbero state felici. E lei le credeva.
Siete pregati pertanto, di non proseguire ASSOLUTAMENTE la lettura se non maggiorenni, se particolarmente sensibili, o se ritenete che i temi trattati possano potenzialmente turbare la vostra persona.
Chi intende proseguire la lettura, lo fa in sua piena liberta' e senza alcuna costrizione, essendo un racconto pubblico e non essendo necessaria o obbligatoria la lettura dello stesso ai fini di gioco.
Ritengo di essere libera da ogni responsabilità, e declino lo staff da eventuali lamentele)
“Anahel, la nascita della fine”
La nebbia serpeggiava cupamente tra le immote statue del cimitero, come gelide dita di morte che carezzassero il proprio avere. La statua di un angelo con un ala spezzata, era l’unico spettatore involontario di una flebile conversazione fatta di sussurri. Il muschio che ne ricopriva per meta’ il freddo granito dalla quale era stata ricavata secoli prima, testimoniava lo stato di abbandono di quel cimitero. I vialetti tra una tomba e l’altra erano pieni di erbacce e di foglie portate dal vento, sicche’ per muoversi senza inciampare bisognava zigzagare tra le lapidi. Il sole stava tramontando, e i corti raggi solari si facevano mano a mano piu’ rossastri, illuminando tutto di un irreale color sangue, come se i demonietti e i gargoyle posti a silente protezione di quei monumenti, si fossero appena animati, e avessero richiamato a se’ le fiamme della geenna dalla quale provenivano.
Con il capo chino, una piccola figura femminile se ne stava rannicchiata davanti a un tumulo scavato di fresco. L’aria odorava di terra smossa, dentro la quale un verme cercava inutilmente di rifugiarvisi nuovamente per scampare ai becchi impietosi dei corvi che riempivano l’aria con il loro gracchiare stridente.
Anahel osservava in silenzio la tomba di sua madre, gli occhi lucidi per il pianto, i becchini che l’avevano seppellita erano gia’ andati via tutti, nessun officiante, nessuna preghiera, nessuno era venuto a vedere la tumulazione di quella donna.
Nessuno amava sua madre, tranne lei e suo fratello… ah suo fratello, che cosa avrebbe mai fatto se non ci fosse lui.
Ma l’amaro di quella perdita le colmava ogni pensiero.
Era stata una brava madre dal suo punto di vista, certo, non sempre avevano di che sfamarsi, specie quando era piu’ piccola, ma ora che era tornato suo fratello e che aveva cominciato a contribuire in casa tutto sembrava andare meglio.
Anahel chiuse gli occhi, si stentiva cosi’ sola, e cosi’ vecchia, nonostante i suoi quattordici anni, si sentiva come se la sua vita fosse ormai giunta al termine. Che cos’altro avevano da vedere ancora i suoi occhi?
Se non ci fosse stato Mahel, il suo amato fratello, si sarebbe addormentata cosi’, rannicchiata sopra le spoglie di sua madre, raggiungendo il sonno eterno per ricongiungersi a lei, ma il suo amore per il fratello la teneva strettamente legata alla vita terrena, nonostante la sofferenza, quel calore che le nasceva nel ventre quanto lui le era al suo fianco, la vincolava in un modo che non sapeva spiegare.
Erano stati separati per molti anni, Mahel era suo fratello per parte di madre, ma il padre di lui era un vagabondo, un truffatore, un saltimbanco che molti anni prima aveva messo incinta sua madre. Le aveva promesso di sposarla, ma poi, si sa’, i legami non son fatti per gli uomini di mondo. La sua passione per la poesia e per l’arte e la retorica lo portavano spesso con la mente distante, finche’ un giorno, quando Mahel aveva sei anni, decise di andarsene, e scomparve, portandosi dietro il bambino.
Lui non le aveva mai raccontato cosa aveva vissuto in quegli anni, ne lei glielo aveva chiesto, se avesse voluto dirglielo, quando sarebbe stato il momento, l’avrebbe fatto.
Restata da sola, a sua madre non era rimasto altro che prostituirsi per poter mettere qualcosa sotto ai denti, non sapeva fare nessuna altra cosa, e altro non seppe imparare ad Anahel. Lei era nata per un errore di valutazione, la figlia bastarda di una guardia, era rimasta incinta nella speranza di accasarsi, di mettere su famiglia.
Lui le aveva fatto credere ingenuamente che l’amava. Povera donna, come si sbagliava, non era altro che un giocattolo nelle mani di un approfittatore, un modo per non pagare per i suoi servizi di p uttana. Quando rimise incinta, rinnego’ la bambina e di aver mai conosciuto la madre.
Non c’era cibo, non c’era spazio, non c’era nulla di quanto servisse.
Fin da quando era nella culla Anahel vide sua madre dare piacere agli uomini. Vivevano in una stanzetta disadorna di uno dei vecchi palazzi fatiscenti della citta’, nella zona dove anche i piu’ poveri temevano di avventurarsi. Non c’era altro che un pagliericcio sul pavimento, che spesso anche i topi usavano come nido e una sedia, sulla quale i clienti posavano i propri averi mentre si sbattevano sua madre.
Anahel non poteva sottrarsi a quegli eventi. Quando succedeva che sua madre accogliesse un uomo, lei doveva mettersi nell’angolo con la faccia al muro e rimanere ferma e zitta, altrimenti le avrebbe prese. Ma i bambini sono curiosi, cosi’ lei sbirciava quello che accadeva usando un piccolo pezzo di vetro rotto che aveva trovato per strada, forse un pezzo di uno specchio di qualche nobildonna.
A volte qualcuno dei clienti di sua madre protestava dicendo “deve proprio stare qui’ la tua bastarda?” ma sua madre rispondeva sempre “fa’ quel che devi e non ti curar di lei, tanto e’ piccola, non capisce”.
Quando aveva quattro anni successe che uno dei clienti di sua madre chiese di lei, fu la prima volta che si trovo’ a toccare quella cosa flaccida e morbida che gonfia le brache agli uomini. Sapeva di sporco e odorava di urina stantia, non voleva toccarlo, ma era sola, sua madre era uscita, e l’aveva lasciata con quell’uomo. Fu costretta a toccarlo e leccarlo, finche’ l’uomo non emise un grugnito e la schizzo’ con una cosa che aveva un odore terribile e un gusto salato che faceva venire il voltastomaco.
L’uomo lascio’ delle monete sulla sedia e se ne ando’, lasciandola sola, rannicchiata in un angolo.
A quella seguirono altre volte, sempre quell’uomo, sempre la stessa cosa, ogni volta le chiedeva di fare quello che lui chiamava “fare la brava”, e cosi’ lei obbediva in silenzio, senza protestare, chiudendo gli occhi e cercando di respirare con la bocca per non sentire il fetore. Aveva compreso a sue spese che era meglio non far capire che non le piaceva, una volta aveva vomitato e lui l’aveva schiaffeggiata cosi’ forte che per una settimana non aveva piu’ sentito da un orecchio. Sicche’ aveva imparato a fare quello che le veniva chiesto senza mostrare quello che provava.
Attorno ai dieci anni, inizio’ a venire a trovarla anche un altro uomo, la prima volta che lo vide era in compagnia di quello grasso e untuoso che ormai aveva imparato a riconoscere anche solo dal puzzo che emanava. Quest’altro era piu’ scarno, sapeva di pesce, non che ad Anahel importasse, almeno lui non voleva che lei lo toccasse, le piaceva guardarla nuda.
Le chiedeva di spogliarsi e poi con le sue dita callose e fredde, che sapevano di scarti ittici la toccava, dandosi piacere da solo con l’altra mano.
Anahel rimaneva immobile, gli occhi bassi e spenti, fissava le venature del pavimento e le macchie di sporco che lo incrostavano, mentre le mani di lui le violavano le carni e la palpeggiavano, crudamente e senza poesia.
Ma fu quando aveva dodici anni, che per la prima volta aveva capito cosa volessero gli uomini piu’ di ogni altra cosa.
Quel giorno uno dei soliti clienti di sua madre aveva insistito per avere lei, come di consueto sua madre era uscita, con la scusa di qualche commissione, e lei era rimasta sola con quell’uomo.
Pensava che avesse voluto fare quello che gli altri due le chiedevano, ma non era cosi’, l’aveva spogliata ma non aveva voluto toccarla, non le chiese di toccare lui, la fece semplicemente stendere.
Non sapendo cosa lui volesse fare lei rimase immobile, era abituata ad essere null’altro che una bambola nelle mani degli uomini, sicche’ non oppose resistenza quando lui le divarico’ le gambe e le si stese sopra. Armeggio’ con i pantaloni e tiro’ fuori il suo membro, puntandolo contro di lei.
Senza poesia, senza pieta’ e senza delicatezza la penetro’, un colpo secco. Anahel urlo’, di sorpresa, di dolore e di rabbia. Ma uno schiaffo spense subito le sue proteste. Per fortuna all’uomo non ci volle molto per raggiungere quello che desiderava, e come gli altri lascio’ i soldi sulla sedia e se ne ando’ via, lasciandola sola e umiliata.
Quando la madre torno’ la trovo’ ancora li’ stesa a terra, le gambe oscenamente divaricate a mostrare le sue parti intime sporche di sangue rappreso. Il suo sguardo era vuoto e distante, sua madre la prese tra le braccia e la consolo’, dicendole che le prossime volte sarebbe andato meglio, che non avrebbe piu’ sentito dolore dopo un po’, che ci voleva soltanto un po’ di abitudine, e cosi’ fu.
Presto si sparse la voce, e in un paio di giorni aveva avuto almeno due o tre clienti che chiedevano di lei. Ogni volta che uno se ne andava sua madre la cullava dolcemente e le ripeteva che tutto andava bene, che presto avrebbero avuto molti soldi, che sarebbero state felici. E lei le credeva.
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