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Scoperti nuovi buchi neri supermassivi

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  • Scoperti nuovi buchi neri supermassivi

    01.06.2004



    Un osservatorio virtuale ha consentito di individuare numerosi buchi neri che erano finora invisibili dalla Terra, oscurati dalla nube di polvere che li circonda. Sono state individuate trenta "sorgenti di tipo 2"
    I buchi neri accumulano polvere: si nascondono nel centro di galassie attive in ambienti non dissimili fa quelli che si trovano nei violenti tornado sulla Terra. Proprio come in un tornado, dove i detriti ruotano nei dintorni del vortice, la parte centrale di un buco nero è circondata da una "ciambella" di polvere. Nei casi più fortunati, gli astronomi possono osservare lungo gli assi di questo toro di polvere da sopra o da sotto, godendo così di una ottima visuale del buco nero. Tecnicamente questi oggetti vengono chiamati "sorgenti di tipo 1". Quando invece il toro di polvere viene visto di traverso dalla Terra, impedendo totalmente l'osservazione del buco nero in un range di lunghezze d'onda che vanno dall'infrarosso ai raggi X, si parla di "sorgenti di tipo 2".
    Anche se molti buchi neri di bassa potenza oscurati dalla polvere (nelle galassie dette "Seyfert di tipo 2") sono già stati identificati, fino a poco fa erano noti ben pochi buchi neri simili ma di alta potenza. Ora il team dell'European Astrophysical Virtual Observatory (AVO) guidato da Paolo Padovani dello Space Telescope-European Coordinating Facility e dell'European Southern Observatory (ESO) ha annunciato la scoperta di numerosi buchi neri supermassivi oscurati. Trenta di questi oggetti sono stati trovati nei cosiddetti GOODS (Great Observatories Origins Deep Survey), regioni celesti oggetto di alcune delle osservazioni più approfondite mai effettuate con telescopi spaziali e terrestri, compreso il telescopio spaziale Hubble.
    Padovani e colleghi hanno usato una tecnica innovativa. Usando un Osservatorio Virtuale (VO) hanno combinato informazioni relative a più lunghezze d'onda provenienti da Hubble, dal Very Large Telescope dell'ESO e dall'osservatorio Chandra della NASA. Lo studio verrà pubblicato prossimamente sulla rivista "Astronomy and Astrophysics".
    Raffaele Lepore
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